“Sono uscito di casa in lacrime quando ho lasciato mia moglie e mio figlio . . . “
( canzone dei kurabito )
Questa è solo una delle strofe più struggenti riportate in una delle antiche canzoni cantate dai kurabito in procinto di lasciare la propria famiglia per andare a produrre sake durante tutta la stagione invernale.
Nel corso dei secoli in Giappone sono stati sviluppati strumenti, metodologie e accorgimenti sempre più ingegnosi per poter portare a termine con successo la produzione di sake.
Fra queste tecniche, vi sono alcune materiali, come la fermentazione alcolica ottenuta tramite l’aggiunta di lievito e koji, e alcune non materiali. In questo patrimonio di conoscenze e tecniche intangibili, tramandate per secoli di toji in toji, spicca la musica.
Nello specifico, le sake-tzukuri uta, conosciute anche come le canzoni della produzione di sake. Come potete facilmente intuire queste melodie erano intonate dai lavoratori durante il processo di fermentazione, ma quale era il loro scopo? Chi scrisse queste canzoni? Ogni sakagura aveva le sue canzoni, e ogni toji nel tempo ha avuto modo di dare il suo contributo; ogni lavoro compiuto dai lavoratori della sakagura aveva una canzone ad esso dedicata, e si racconta che i kurabito cantassero costantemente durante la lunga stagione invernale.
Ma perchè cantavano? Per diverse ragioni probabilmente, ma la più importante e fondamentale era per produrre un sake più buono. Immaginatevi il mondo del Giappone medievale, caratterizzato sì da una cultura ricca e raffinata, ma anche dall’assenza di un elemento tecnologico fondamentale : l’orologio. Al giorno d’oggi un toji può chiedere di eseguire alcuni passaggi produttivi per un periodo di tempo determinato, magari per uno o due minuti, ma come poteva chiedere ad un kurabito di ripetere la stessa azione una, diecimila o un milione di volte? Con quale velocità andava eseguita questa azione? E in caso avessero sbagliato a contare, come potevano misurare il tempo trascorso?
Per rimediare a queste imprecisioni, i toji definirono un sistema dove gli operai, una volta imparate delle canzoni base ( “ la canzone del moroni “ ), dovevano ripetere le operazioni di cantina per “ sei volte la durata della canzone dello shubo “. Imprecisioni ed errori a parte, questo sistema ebbe la fortuna di dare alla produzione di sake nazionale un elemento imprescindibile: una precisa replicabilità. Ogni fase della produzione andava incontro ai medesimi tempi di lavorazione, fornendo al toji un elemento in meno di incertezza nella produzione. Il tempo era sicuramente un fattore importante per le canzoni del sake, un altro il ritmo di esecuzione. Avere diverse centinaia di uomini impegnati nel medesimo istante a girare girare lunghi bastoni di legno in grandi vasche piene di moromi in fermentazione era una azione complessa, dove la concentrazione e la coordinazione che la musica poteva fornire erano fondamentali.
Non dobbiamo dimenticare che il ruolo forse più importante della musica era quello di rincuorare gli uomini durante le lunghe ed estenuanti ore di lavoro, renderli più attenti all’ambiente che li circondava, ed evitare che si ferissero per spossatezza e disattenzione.
E’ per questo motivo che abbiamo voluto raccontarvi della musica del sake, una storia di cui potrete rivivere un piccolo frammento cliccando qui e ascoltando con attenzione.
Questo è uno dei tanti argomenti che potrete approfondire durante i corsi della Sake Sommelier Association (SSA) di Roma il prossimo 21,22 e 23 Maggio - qui il link per iscriversi.
A presto e Kanpai!