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  • 4 min lettura

    Il riso

    Il riso è ovviamente l’ingrediente principale del sake, anche se, in mancanza di altri ingredienti, il koji, non potremmo produrre questo fermentato. Insieme a grano e mais è uno dei tre principali cereali esistenti e attualmente in Giappone ne vengono coltivate circa 300 tipologie.

    Le origini di questo cereale non sono ancora chiare, ma secondo alcune teorie venne coltivato inizialmente nella provincia dello Yunnan, in Cina, nell’Assam, in India, o nelle Filippine. Anche il modo in cui arrivò in Giappone non è chiaro, anche se si ipotizza che sia arrivato tramite la Corea, la regione lungo il fiume Yangtze o le isole della Cina sud-occidentale.

    Esistono due tipi di piante da riso, quella africana e quella asiatica. La pianta asiatica comprende le tre specie Japonica, Indica e Javanica, e la specie Japonica è quella coltivata in Giappone. A sua volta, questa specie si divide in due categorie: riso da tavola (hanmai 飯米) e riso da sake (sakamai 酒米 o shuzo kotekimai 酒造好適米).

    Riso da sake e riso da tavola

    Per calcolare il peso del riso, si utilizza un’unità di misura chiamata senryuju (千粒重), che equivale al peso di 1000 chicchi di riso. Il riso da tavola ha un senryuju di meno di 24 grammi, mentre il riso da sake arriva a 26-28 grammi, ha chicchi più grossi, uno shinpaku (parte centrale) importante, bassi livelli di lipidi e proteine, grande capacità di assorbimento dell’acqua, e dopo la cottura è resistente fuori e morbido all’interno.

    Dal momento che i chicchi sono più grossi, anche la pianta di questa tipologia è generalmente più grande e presenta inoltre lunghi steli. Basti pensare che una pianta di riso da tavola solitamente è alta circa 120-130 cm, mentre una pianta da sake raggiunge i 150 cm. Questo la rende difficile da coltivare perché la parte superiore della pianta quando maturano i chicchi diventa pesante e si piega più facilmente durante tempeste e tifoni. Ecco perché il riso da sake è anche notevolmente più costoso rispetto al riso da tavola, avendo un prezzo che può essere più alto del 15% - 60%.

    Principali varietà di riso da sake

    Il sake, prodotto a partire dal riso, non presenta differenze di sapore e aroma così nette come il vino, che viene prodotto con l’uva.

    Le differenze di gusto e aroma nel sake dipendono dalle preferenze del proprietario della sakagura, dalle abilità del toji, il responsabile della produzione (杜氏) e dei kurabito (蔵人), gli uomini che lavorano con il toji, così come dal metodo di produzione scelto.

    Tuttavia, recentemente, molte sakagura hanno fatto ricerche e studiato come differenti tipologie di shuzo-kotekimai influenzino le caratteristiche del prodotto finale. Al contrario del vino, molto spesso il riso utilizzato dalla sakagura non proviene necessariamente dalla stessa area, né il produttore produce il proprio riso, proprio perché le cantine acquistano il riso che gli serve per produrre un sake che abbia determinate caratteristiche.

    Possiamo quindi affermare che ci sono molte varietà diverse di sakamai, ognuna con necessità diverse in merito a clima e suolo in cui viene coltivata, e che ognuna di queste dona al sake caratteristiche e stili diversi.

    Yamadanishiki: prodotto prevalentemente a Hyogo, è il riso shuzo-kotekimai più famoso e pregiato. È molto adatto alla produzione di sake daiginjo altamente aromatici, infatti la sua popolarità è iniziata negli anni ’80, anni del boom di ginjo e daiginjo. Permette di produrre sake forti ed eleganti e spesso dona un aroma distintivo di banana.

    Gohyakumangoku: prodotto soprattutto a Niigata ma in minore quantità anche in tutto il resto del Giappone, ha uno shinpaku molto grande. Si dice che i suoi chicchi siano difficili da sbramare e quindi è meno adatto alla produzione di prodotti aromatici. Viene infatti utilizzato per sake limpidi e secchi. 

    Miyamanishiki: riso che tollera molto bene il freddo, viene coltivato nel clima rigido del Giappone del nord (prefettura di Nagano) e dona al sake un sapore delicato ma rinfrescante, con una nota di cremosità. 

    Omachi: prodotto a Okayama, è una delle varietà più antiche e viene infatti chiamato “Ojiisan”, o riso “antenato”. SI dice sia particolarmente difficile da coltivare e anche da lavorare in fase di produzione. Da questo riso si ottiene un fermentato dalla qualità ben definita, con sapori ricchi e complessi. 

    Composizione del riso e sbiancatura

    Il riso

    Il riso è composto da carboidrati (70-75%), proteine (7-8%), lipidi (2%), minerali come potassio, fosforo e magnesio (1%), che aiutano koji e lieviti a riprodursi, e vitamine B.

    La parte centrale del chicco, bianca e opaca, viene chiamata shinpaku (心白) e contiene prevalentemente amido. Lo shinpaku è la parte più morbida del chicco, condizione fondamentale perché i filamenti della muffa koji possano raggiungere facilmente il centro e mettere in atto il processo di saccarificazione.

    La prima fase della produzione del sake è infatti la sbiancatura, che permette di eliminare parte di proteine e lipidi che avvolgono la parte centrale. Durante questa fase, i chicchi vengono inseriti all’interno di apposite macchine verticali, sviluppate negli anni ’30, che li levigano in modo uniforme tramite due mole sferiche rotanti (kongo rolls 金剛ロール) fino a quando la percentuale di sbiancatura desiderata viene raggiunta. Una volta passati attraverso le mole, i chicchi vengono riportati nella parte superiore della macchina con dei nastri trasportatori per essere sottoposti nuovamente alla sbiancatura. Questo processo è molto delicato perché i chicchi possono rompersi, e può durare anche alcune ore.

    Prima dell’avvento delle macchine sbiancatrici, il riso veniva sbiancato generalmente con l’utilizzo di mulini ad acqua, o anche con mortai e pestelli. Questi metodi, però, permettevano di eliminare al massimo il 10% della parte esterna del chicco, mentre le macchine utilizzate attualmente permettono di arrivare a livelli di sbiancatura molto alti.

    La percentuale che indica quanto chicco è rimasto dopo la sbiancatura si chiama seimaibuai (精米歩合) e permette di capire anche che tipo di sake stiamo bevendo. Un sake con una sbiancatura del 50%, ad esempio, indica che la metà del chicco è stata rimossa e che ci troviamo davanti a un sake molto aromatico. Al contrario, un sake con una sbiancatura del 70% indica che solo il 30% del chicco è stato tolto e che stiamo per degustare un prodotto in cui la parte aromatica non è sviluppata.